lunedì 30 dicembre 2013

Intrecci di passato e futuro

Immagine di Lindy Longhurst
La fine dell'anno è il momento in cui è facile, anzi quasi istintivo, visualizzare passato e futuro che si incontrano in un punto prestabilito, si guardano negli occhi, fanno una "riunione di bilancio annuale" e poi proseguono il proprio cammino; il futuro va avanti, il passato gira i tacchi e si dedica a mantenere vivi i ricordi.
Ed è proprio qui che in molte persone nasce l'esigenza di fare un resoconto dell'anno passato e formulare dei buoni propositi per il nuovo anno. In genere mi colloco "moderatamente" in questa categoria, anche se detesto la ricorrenza del Capodanno più di qualsiasi altra. Di solito ho la tendenza ad abbondare di buoni propositi, tanto non costa nulla, mentre ho difficoltà a valutare l'anno che sta finendo in quanto i propositi formulati un anno prima sono rimasti pensieri volanti, impossibili da rintracciare con precisione per metterli con le spalle al muro. "Dove sei finito? Ti sei dileguato alla prima difficoltà? Ti sei fatto affossare dalla pigrizia", e così via.

Quest'anno ho trovato in rete lo strumento che fa per me, e che mi sento di consigliare a chi se la cava con l'inglese. Si chiama "Unravelling the year ahead, 2014" di Susannah Conway, coach e fotografa inglese specializzata nel fornire strumenti per riconnettersi con il proprio autentico sè. Detta così potrebbe sembrare una cosa fuffosa new age, ma non lo è; anzi è un approccio molto pragratico che parte dal presupposto che quando "non sai quello che vuoi, non riuscirai ad averlo"; se non ti conosci e non senti i tuoi desideri e i malesseri latenti non riuscirai mai a fare niente per cambiare. Perderai tempo e il senso di insoddisfazione crescerà. Ne sono venuta a conoscenza da varie amiche che hanno seguito i corsi on-line di Susannah ne loro percorso di rinnovamento professionale, nei momenti di cambio di vita e di voglia di agire.

Il piano si trova qui http://www.susannahconway.com/2013/12/lets-make-some-magic-in-2014/ 
ed è scaricabile gratuitamente.  Io questa sera mi ci dedicherò con una tazza di tisana e la micina accanto.
Mi auguro, e auguro a chi lo farà, che sia d'aiuto per chiudere il 2013 con un po' di ufficialità, senza vaghi rimpianti delle cose non fatte, e per inziare il 2014 con energie costruttive.

lunedì 23 dicembre 2013

E' la stima che fa il capo






Ho appena assistito all'ennesimo episodio di maleducazione al lavoro, in uno dei posti in cui faccio consulenza. La classica piccola azienda dove il capo si sente a suo agio più che a casa sua e considera le persone come delle appendici delle scrivanie. Il piccolo-grande uomo si permette di prendersi confidenze non dovute e inopportune (bisogna schivare in continuazione domande personali su situazione economica, fidanzati, salute, ecc) e, quando i pianeti gli si dispongono in una quadratura sfavorevole, di trattare male le persone, senza rispetto, per poi tornare a fare battute e sorrisini quando il nervoso è sbollito.

Vittime predestinate sono le donne, gli stagisti e i precari, le collaboratrici con autostima fragile e con elevato senso del dovere, troppo educate per mandarlo dove merita.
Con le persone prepotenti e con chi teme,invece, è di una debolezza e arrendevolezza imbarazzanti.
E' da un po' che vorrei consigliare a quest'uomo di tatuarsi sul bicipite, a imperitura memoria, la sua filosofia comportamentale "Forte con i deboli e zerbino con i forti".

Osservando i comportamenti di tale personaggio mi permetto di stendere un decalogo dell'assurdo: le regole base, che più base non si può, che una persona deve seguire se vuole coordinare altre persone, le doti che un capo deve avere per essere percepito e rispettato come tale:

1- Essere preparato almeno come i sottoposti, aggiornarsi e non dire castronerie quando parla. Mi sono spesso vergognata profondamente di partecipare alle riunioni dai clienti con un coordinatore che improvvisa su qualsiasi argomento, fa errori lessicali, grammaticali e si mette in bocca a caso parole inglesi sentite dire. Capire la differenza tra Twitter e Facebook e tra un congiuntivo e un condizionale è doveroso.

2- Essere politically correct e tenere per sè opinioni politiche, religiose e sessuali: sembrerà superfluo ma non lo è! Atteggiamenti maschilisti, commenti razzisti ed epiteti verso gli omosessuali sono all'ordine del giorno.  Per non parlare delle bestemmie e delle volgarità gratuite, che infastidiscono profondamente anche gli atei più convinti.
Se la persona è animata da sentimenti meschini, misogeni e razzisti, pretendo almeno che si renda conto del fatto che non è opportuno esprimerli in pubblico. Chiamo in causa la "bella figura" con la gente, la retorica buonista dei politici, il politically correct degli anglosassoni, che a fronte di comportamenti del genere metterebbero in atto sanzioni sociali pesanti.

3- Non proiettare le sue ansie sui sottoposti, inoculando il terrore psicologico e l'incertezza del futuro lavorativo ("Sicuramente il cliente non rinnoverà e uno di voi rimarrà a casa". Per poi ritrovarci tutti lì con lo stesso cliente, anno dopo anno...).

4- Creare il team, non distruggerlo con commenti alle spalle degli assenti, pettegolezzi di vario tipo diffusi con l'immancabile "Ti dico una cosa ma giura di non dirla a nessuno...". Durante la mia collaborazione in quest'azienda ho lavorato a fianco di vari "dead man walking": persone che svolgevano il loro lavoro ignare, mentre tutti sapevano essere destinate ad essere fatte fuori. Tutti eravamo al corrente delle loro colpe e mancanze ma avevamo la consegna tassativa di non parlare finchè qualcuno, mosso a compassione, faceva giungere la voce all'interessato perchè potesse almeno avere il tempo di cercarsi un lavoro alternativo.

5- Non fare commenti costanti, alle spalle degli interessati, sull'aspetto fisico e sul carattere di collaboratori e clienti (la Tale è un cesso, Tizio ha lo sguardo da serial killer). La tentazione di riempire i corridoi di specchi affinchè possa accorgersi che la sua figura tarchiata non assomiglia  nè a George Clooney nè ai fratelli Bergamasco è davvero forte...

6- Non litigare pubblicamente con i propri soci:  evitare i commenti dispregiativi verso i propri soci in affari e le liti plateali con i vaffan...e le minacce a 2 millimetri dalla faccia dell'avversario. Creano inevitabilmente divisioni nel gruppo e autorizzano i colleghi a comportarsi male con gli altri. L'esempio ha la sua forza.

7- Non interrompere regolarmente chi parla e ascoltare; per contro indire riunioni in cui parlare ininterrottamente dei propri successi del passato e delle proprie intuizioni, incensarsi e rimbrottare chi mostra segni di distrazione.

8- Non prendersi i meriti delle idee altrui e dire sempre"Io". All'asilo mi insegnarono la filastrocca "Io, io, asino primo", che ha un fondo di verità. Una persona che propone ai clienti le idee di un gruppo di lavoro composito dovrebbe imparare a dire "noi", e a non volersi arrogare la paternità di idee che poi non sa neanche esporre.

9- Credere nella formazione professionale e nell'aggiornamento tecnologico: i due concetti dovrebbero essere percepiti come investimenti. Lavorare con una licenza Office e non con dei programmi free che regolarmente ti abbandonano sul più bello o non possono essere aperti dai clienti dovrebbe essere un diritto di base del lavoratore. In un'impresa che si fregia di produrre comunicazione non dovrebbe accadere di sentirsi accusare di essere poco aggiornati e poi non disporre del budget per comprare neppure un quotidiano ogni tanto, o di fare un corso di aggiornamento a proprie spese con la promessa-ricatto "Se a fine anno mi porti i risultati ti rimborserò il corso". Risultati che, inutile dirlo, non sono mai sufficienti....

10- Non rendere incubi le trasferte di lavoro: il piccolo grande uomo viaggia solo se è lui a guidare, si considera Schumacher ma in realtà ha la sindrome del piede ballerino, non crede nella distanza di sicurezza nè nei limiti di velocità. Al volante della sua berlina da 15 metri (che gli dà l'illusione di essere un uomo arrivato) scorrazza su e giù per le autostrade sballottando collaboratori impotenti in preda al mal d'auto, impegnati silenziosamente a mettere la propria incolumità nelle mani del Buon Dio e  a onorare dei voti se arriveranno vivi a destinazione senza schiantarsi sul paraurti della macchina davanti.

Al di là del rimescolamento di bile che assistere o subire queste situazioni mi provoca ogni volta, credo che in una prospettiva più ampia io debba ringraziare il piccolo grande uomo, perchè l'insoddisfazione data dalla situazione mi ha spinta a guardarmi intorno, a non accettare contratti stabili in questa azienda ma a cercare nuovi sbocchi, e ora mi sta guidando verso il desiderio di riqualificarmi e lavorare da freelance.
Compatibilmente con la necessità di lavorare che condivido con la maggior parte delle persone, l'esigenza di essere rispettata è fondamentale, non riesco a metterla da parte senza somatizzare o stare male. Mi domando sempre se quando passerà il momento di crisi che costringe tutti a ringraziare ogni giorno di avere un lavoro e a tenerselo stretto come un koala con un albero di eucalipto, aziende come questa vedranno un fuggi fuggi di personale al limite della sopportazione.

La mission di un'azienda non dovrebbe essere l'espressione dell'ego di chi la dirige, professionista a cui si chiede di saper far coesistere il suo carattere (bello o brutto, invadente o riservato, curioso o irascibile) con l'adeguatezza al RUOLO AZIENDALE.

Avere doti da leader di un'azienda non è da tutti, ma arrivare a certi livelli di negazione è altrettanto difficile.  Il risultato è un clima di conflitto permanente, perchè i collaboratori non rispettati reagiscono mancando di rispetto e manifestando appena possibile la scarsa stima verso il boss.
La stima, si sa, si guadagna sul campo con carisma e competenza, non si impone con le posizioni di superiorità "io comando e  tu esegui senza fiatare".

lunedì 16 dicembre 2013

La Fenice


In questo periodo sento sobbollire tante idee, come un vulcano che ricomincia la sua attività dopo un periodo di calma. Cerco di dare una direzione a tutti gli stimoli che mi arrivano dal web o dagli incontri con le persone per riuscire a fare un cambiamento, lavorativo e conseguentemente anche di vita quotidiana, che da tanto desideravo. 
Sicuramente i tempi non erano maturi perchè all'atto pratico poi non riuscivo a progettare niente. Poco male, penso, arriva il tempo per agire quando quello per autocommiserarsi e quello per osservare e riflettere sono passati.

Ho passato dei mesi in cui, a parte sforzarmi di fare il mio lavoro, non riuscivo a utilizzare il tempo libero per impegnarmi in nulla: ero profondamente insoddisfatta e sentivo le settimane sfuggirmi di mano ma non riuscivo a muovermi. Per andare dove? Per fare cosa? L'unica certezza era la mia situazione affettiva, che mi ha aiutato a non sentirmi persa.

In fondo sapevo però che dovevo lasciar fluire la situazione, perchè mi è sempre capitato così: improvvisamente sento l'impulso per ripartire, la forza dell'entusiasmo, e allora non mi fermo.   

Quando ho scelto il template per il blog non ho avuto dubbi su questo che vedete, il cui nome è Phoenix. E' quello giusto per raccontare un momento di rinnovamento. 
La Fenice è un mito che mi ha sempre affascinata, tante volte sono rinata dalle mie ceneri, mi sono sentita cenere in ogni cellula e poi ho sentito la scintilla della vitalità. E' un simbolo forte, sinuoso, femminile. Tra le righe, è il tatuaggio del mio cantante-idolo Dave Gahan, che è rinato dopo essere stato dichiarato clinicamente morto per un'overdose.

La Fenice è la speranza di evolvere, lasciar morire i propri sbagli, le convinzioni, le certezze che ci hanno soffocati per cambiare pelle con un nuovo fulgore. Sbattere, imparare ed evolvere per me significa vivere, se non ho nuovi stimoli inizio a spegnermi dentro.


lunedì 9 dicembre 2013

Berenice e me

Ci sono nomi che senti tuoi, come un alter ego. Così è per me con Berenice, un nome poetico ed evocativo  che mi fa sentire in una dimensione mitologica, proprio come Berenice con la sua chioma che diventò costellazione.

Berenice è da sempre il mio nickname in rete, fin dalla prima casella di posta elettronica e continuando con profili social e nomi utente. Tutti lo trovano particolarmente appropriato per la mia chioma rossa che è stata sempre motivo di orgoglio, anche se in generale non sono mai stata una ragazza che si piaceva particolarmente e si compiaceva allo specchio.

Credo che il primo incontro con Berenice sia avvenuto alle superiori studiando Foscolo e scoprendo la sua traduzione del poema La chioma di Berenice con il relativo mito. Poi ho conosciuto un'altra Berenice carismatica, Berenice Abbott, la fotografa, con le sue foto di New York in bianco e nero e la sua pettinatura anni Venti e la sua inquietudine, in cui rivedevo la mia. Forse ero nata in un'epoca sbagliata, ero attratta dal Novecento, nonostante le sue tragedie, mentre gli anni Duemila sembravano portare solo alienazione e i risultati disastrosi di un progresso sbagliato.
Così sono rimasta Berenice, e nel momento in cui cercavo un blog che mi rappresentasse, la chioma di Berenice è stata il primo pensiero...per fortuna con un dominio disponibile.

Per chi mi conosce, il vecchio blog non verrà più aggiornato; è fermo da quasi un anno e non aveva senso ricominciare a scrivere lì perchè non mi rappresenta più. Era nato in un momento un po' "flower power", di bucolico ottimismo. Il 2013 invece è stato un anno di crisi e riflessione, di attesa a volte faticosa nel tentativo di trovare una direzione da seguire a livello di percorso professionale e di senso della vita quotidiana.
Ora le energie sembrano essersi sbloccate e ho di nuovo lo stimolo a scrivere di quello che sento e amo oggi.