mercoledì 31 dicembre 2014

Pagine da rileggere e pagine da scrivere





Avevo lo spauracchio del post di fine anno con il bilancio del 2014. Il rischio retorica è altissimo.

Al tempo stesso mi spiaceva chiudere in silenzio il 2014 sul blog, che mi ha accompagnata in tante fasi cruciali dell'anno e che adesso, vittima dei miei troppi impegni e della stanchezza, non viene aggiornato da 3 mesi.

Il 2014 è stato un anno importante e lo ricorderò negli annali, perché in assoluto è stato un periodo di cambiamenti reali, l'anno in cui ho concretizzato di più quel desiderio di dare una svolta a tante cose.
Il lavoro come freelance, la convivenza, tanti nuovi progetti e competenze da approfondire, il sito, molti contatti e amicizie, la capacità di prendere in mano le mie scelte. Credo che questa sia una conquista che mi rimarrà, non penso sia possibile tornare indietro a quei periodi di profonda indecisione e immobilità mista a insoddisfazione che ho vissuto in passato. Non sarà mai facile fare delle scelte e farò tante cavolate, ma ora so che farle è meglio che aspettare e ho più fiducia in me. Sto anche smettendo di giudicarmi implacabilmente e di pretendere sempre troppo da me.

Per il 2015, l'anno dei non-avrò-più-trent'anni, mi voglio portare dietro un solo obiettivo: "provare a essere la migliore versione di me stessa". E' una frase che ho letto in qualche libro e mi è piaciuta.
Nessun obiettivo di rivoluzione interiore, nessun proclama di cambiamento a 360°: proverò a migliorare quel che c'è di buono in me, a puntare su quello. So benissimo quali sono i lati oscuri del mio carattere, però in un certo senso di sono "affezionata" perchè fanno parte di me e a volte fanno comodo per non smuoversi da dove si è. Non mi aspetto di diventare subito LA MIGLIORE versione possibile di me stessa, ma cercare di essere ogni volta un pochino migliore di prima, lasciarmi dietro a piccoli passi tante negatività.

Come dicevo, il 2014 è stato un anno ricco e positivo. C'è stato un evento triste che mi ha colpito là dove sono più fragile (è sempre così): la morte della mia amata Tippi, la mia micina, a fine novembre.

Fatico a parlarne e ancora di più a scriverne ma ci provo comunque.
In soli 3 giorni Tippi si è spenta e se n'è andata, un tumore ha dato segnali solo quando ormai era allo stadio finale ed è stato uno shock sia per me che per Paolo, ma io ho faticato e fatico a reagire.
Non mi vergogno a dire che è stato un lutto dolorosissimo. Tippi era una micina gracile e malata, era positiva alla Fiv, l'immunodeficienza felina, e aveva una caratteristica fisica rara: era senza coda per una stranezza genetica.Veniva da una vita randagia ci siamo scelte in un istante, lei aveva ben chiaro che voleva l'affetto e la sicurezza di una famiglia. In 14 mesi abbiamo costruito un legame molto forte, quasi di simbiosi,  e da quando lavoro in casa era mia collega, che si raggomitolava per ore a fianco del PC guardandomi lavorare o dormendo.
Con Tippi avevo aperto il canale della tenerezza e della protezione. Ho avuto gatti fin da ragazzina e quello che mi piace del rapporto quotidiano con un animale è la relazione istintiva e non verbale che si crea, diversa con ognuno di loro.
Tippi è stata The Special One, una gatta non gatta, quello sguardo a cui mancava la parola, il modo particolare di rapportarsi che la faceva assomigliare a un elfo, a una creatura magica della foresta. Mi mancherà sempre.

Tante persone amiche hanno colto la mia sofferenza e mi sono state accanto con affetto e con empatia. Questa è stata un'altra bella sorpresa del 2014 che non dimenticherò: legami nati per lavoro o per caso e diventati amicizie, persone conosciute in rete e ai vari corsi che ho frequentato quest'anno mi hanno dato affetto e vicinanza. Per me è stato un grande insegnamento: l'amicizia è empatia, partecipazione, non bisogna temere di manifestare vicinanza e sostegno alle persone con cui siamo in contatto nella vita quotidiana. Tanti rapporti umani aspettano solo un'occasione per sbocciare, mentre altri sono destinati a spegnersi per freddezza e mancanza di sensibilità.

Concludo con un annuncio positivo: a casa nostra ora c'è Polly, una bella miciona buonissima, reduce da un abbandono, che ambisce alla fascia di "gatta di casa perfetta". Tippi rimarrà nel cuore ma l'avventura va avanti, come è giusto che sia, con un'altra amica pelosa.





domenica 14 settembre 2014

Due mesi che sto qui




Oggi riflettevo su come cambia in fretta il concetto di casa.

Due mesi fa ho traslocato nella nuova casa, che per la precisione è la casa di Paolo. Ora siamo un bel terzetto composto da una coppia dei gemelli + gatta senza coda.

Non è stato facile decidere di uscire dal mio nido, che era la mia "comfort zone" da dieci anni. 
Era una casa che non avevo scelto ma accettato per motivi di praticità, non aveva una progettualità ma era comunque la casa della mia indipendenza, quella in cui ho passato tutte le fasi verso l'autonomia emotiva, la ricerca del mio posto nella vita adulta. Era la casa di una Berenice con gatto, quella in cui mi rifugiavo quando tutto sembrava essermi contro insieme al mio amato gatto Camillo. Ho passato periodi di sofferenza e li ho superati, ho troncato storie d'amore sbagliate che non mi rendevano felice. Sono cambiata tanto, non credevo che sarei mai riuscita a capire cosa volevo dalla vita per essere me stessa, a lasciarmi andare e a dare fiducia a un rapporto di coppia e ad abbandonare i lavori che mi ammorbavano le giornate per avviarmi al lavoro da freelance.

Infine è arrivato in modo naturale il momento di lasciarla per la nuova casa, dove mi sono subito sentita a mio agio, anche se prima di avvicinarmi l'ho considerata con sospetto per 3 anni. E' luminosa, l'abbiamo arredata con i colori che ci piacciono e con un progetto condiviso, c'è il mio angolo per lavorare e tanti armadi su cui Tippi si diverte ad arrampicarsi. Parte dei mobili e quadri che avevo hanno traslocato con me e mi danno un bel senso di familiarità. Mi manca il vecchio quartiere, a cui mi ero affezionata, anche se è molto vicino da qui.
E' al quinto piano e ancora non riesco a vincere le vertigini per affacciarmi al balcone (non credo ci riuscirò mai), ha una bella visuale aperta sulle montagne. Ci offre certi tramonti che non sembra di essere in città. E' a soli 400 metri dal parco in cui vado quasi ogni giorno a camminare e altrettanto vicina al palazzetto in cui i Depeche Mode hanno fatto un concerto lo scorso febbraio. Eh sì, quando passo davanti e ci penso sempre, avrei potuto invitarli per una spaghettata...

A differenza dalla vecchia casa, che era al primo piano e mi faceva vivere uno scambio costante con i rumori della strada e della città, questa sembra proteggermi. I rumori arrivano attutiti e ogni tanto mi sembra di essere sospesa in una mia dimensione sopra la vita frenetica che c'è là sotto.

Mi sorprende come tutto cambi in fretta, come quelle che erano le certezze più ovvie, la casa appunto, entrino rapidamente a far parte del passato. Siamo in costante evoluzione, se non abbiamo paura di lasciar fluire gli eventi.

Da quando ho superato questa paura la mia vita è più mia.

Ed ecco la colonna sonora di questo post:
http://youtu.be/icDf3R6KgpE

lunedì 28 luglio 2014

Un periodo movimentato


Sono sparita da almeno 5 settimane, ma ho la giustificazione.
E' stato uno dei periodi più movimentati della mia vita, sono successe più cose in un mese che nell'intero 2013 (che anno noioso per me!).

Nell'ordine:
- ho acquisito il "mio" primo cliente-solo-mio nella mia vita da freelance e mi sono buttata a capofitto sul lavoro
-sono stata tre giorni a Firenze a Pitti Filati con il cliente mio-solo-mio
- appena tornata ho riunito i miei effetti personali e il contenuto dei mobili di casa negli scatoloni
- il giorno dopo ho traslocato
- ho iniziato la mia prima convivenza
- ho iniziato i lavori di rinnovamento della casa rimasta vuota con l'idea di affittarla
- 5 giorni dopo sono andata in ospedale per un intervento chirurgico che doveva essere una passeggiata ma un po' mi ha sbattuta e intontita
- ho fatto qualche giorno di convalescenza e ho scoperto di essere molto anemica
- siamo partiti per 5 giorni di vacanza in Toscana e per il concerto degli Arctic Monkeys a Pistoia
- al ritorno ho recuperato con il lavoro arretrato
- sono stata convocata per un nuovo lavoro
- da domani organizzo il lavoro

Alla fine di tutto ciò sono stanca! Soddisfatta ma esausta. Agosto sarà un mese di relax, mi abituerò alla mia casetta nuova, sistemeremo le molte cose ancora da fare, lavorerò a maglia, leggerò, farò le marmellate, andrò al parco a camminare. Se necessario lavorerò un pochino, ma solo qualche ora al giorno e solo alla fine del mese.

La nuova casa è al quinto piano. Io soffro di vertigini e non riesco a uscire sul balcone, però mentre scrivo ho davanti a me una visuale aperta che arriva fino alle montagne, e quando è sereno vedo la Sacra di San Michele in lontananza.

Il 2014 è un anno di movimento e di risoluzioni che diventano realtà. Ho concluso dei cambiamenti positivi sia in ambito della vita affattiva, lavorativa e spero della salute.
Sono grata (all'universo? al destino? alla vita?) per questo periodo, osservo e apprezzo l'indipendenza che ho nel lavoro e l'armonia che si sta creando in tanti aspetti della mia vita dopo anni di Caos.

Il Grande Demente è solo un ricordo sgradevole; non tornerei a lavorare con lui neanche un'ora, però si sta affievolendo anche l'astio nei suoi confronti.



lunedì 16 giugno 2014

Un calcio in c.. ci salverà?






Quando ho trovato questa frase su Facebook mi è sembrata la classica boutade ad effetto.
Qualche giorno dopo ho provato sulla mia pelle che è vera e ora, quasi due mesi dopo, mi sento pronta a raccontarvi quest'esperienza con un po' di distacco e con il "senno di poi".

Come avrete notato negli ultimi tempi sono stata meno assidua sul blog, è nato il sito del mio lavoro e sono diventata una freelance a tutti gli effetti. Ho anche conquistato il mio primo cliente di un certo peso, una grande azienda che ha scelto me come ufficio stampa.
Wow, direte, bel periodo, ma attenta a non esaltarti!

Niente affatto, è stato un periodo molto sofferto, partito con un grande calcione nel didietro. 
Da tempo avevo una consulenza part time in un posto che ormai detestavo a causa del Grande Demente, un uomo di grande ignoranza e supponenza che aveva trasformato il mio lavoro una frustrazione unica. Da mesi mi stavo muovendo, anche mentalmente, per andare via e lui sapeva che facevo altre consulenze con la mia piccola partita Iva.

Finchè un giorno di fine aprile mi convoca nel suo ufficio, chiude la porta e mi fa una vera scenata minatoria. Ha scoperto che il mio curriculum e la mia figura professionale girano, che collaboro con un'altra agenzia che stava per prendere un grande cliente. (Il Rosicone probabilmente in cuor suo pensava che vivessi di aria e nel tempo libero mi dedicassi a incipriarmi il naso, invece ha scoperto che lavoravo per mettere insieme uno stipendio!).
Soluzione? Chiudermi in una stanza e farmi una scenata intimidatoria che neanche Totò Riina. Non sto ad andare nei dettagli ma ha rispolverato tutto l'armamentario del maschilista più becero e schifoso, cercando di farmi paura, di puntare sulle mie insicurezze, sulla paura di perdere il misero lavoro con lui, sul senso di colpa tentando di farmi apparire disonesta, di gridare al tradimento, alla delusione, all'approfittarsi della sua benevolenza. Ha  insinuato di sapere "cose sul mio conto", di avere il potere di distruggere la mia carriera, addirittura che il suo socio voleva insultarmi e lo aveva placato a fatica. 
Impazzito? No, semplicemente aveva paura che io mi affrancassi dal suo pollaio e tentassi di volare da sola. Sola e tapina, ma in grado di fargli paura, forse perchè so fare il mio lavoro, non vendo fumo e alcuni clienti gli avevano dichiarato di restare con lui solo perchè c'ero io.
Ha terminato con la dichiarazione di essere disposto a chiudere un occhio sul mio comportamento (ma dde che poi? se hai una partita iva è chiaro che lavorerai per più di un cliente), convinto di avermi riportato nei ranghi con il potere della sua persuasione e di aver difeso il suo territorio. Come un danzatore Maori che ha terminato la sua danza di guerra di fronte al nemico.

E io, in tutto questo? Ero così indignata e incredula per quelle minacce che sono rimasta quasi sempre zitta, ammutolita. Uscita da lì ho pianto dal nervoso, ho avuto bisogno di sfogarmi e confrontarmi con varie persone amiche, non ho mangiato e non ho dormito. Sentivo che la misura era colma, non potevo far finta di niente, avrei perso completamente la dignità e lui ne avrebbe approfittato ogni giorno. In quella lunga notte insonne ho detto basta, ho sentito senza dubbio che la mia dignità deve valere più di quei pochi soldi (e irregolari) che un cafone ignorante con un'Audi lunga come un carro funebre mi assicurava con il ricatto, sempre a cercare di svalutarmi perchè non mi montassi la testa. 
 "Meglio pane e cipolle - pensavo come un'eroina di Cime Tempestose - che continuare  a rodermi il fegato e a odiare il mio lavoro, che altrimenti amerei". Grazie anche al supporto di Paolo e dei miei, che mi hanno garantito che non sarei finita sotto un ponte con il mio pane e cipolle, il giorno dopo sono andata dal Grande Demente e gli ho detto che me ne andavo.
Ammutolito, balbettante, improvvisamente insicuro e vigliacco, ha provato a ritrattare tutto, a dire che avevo frainteso, bla bla bla, che era disposto a far finta che la nostra conversazione non fosse mai avvenuta, che mi scopriva con dispiacere permalosa e avventata, che lo diceva per il mio bene.  E invece no, me ne sono andata a testa alta. E lui ha confermato di essere un codardo, incapace di tenere le sue posizioni con coerenza di fronte a una persona che lo guarda negli occhi e gli dice no.

Così sono ripartita, arrabbiata, ferita, stanca di vivere in un Paese così dove i cretini prepotenti comandano sempre. Ma decisa ad andare avanti con grinta, a usare il calcio in culo appena preso per emanciparmi da una situazione di stallo e frustrazione.
Di notte mi capitava di svegliarmi in preda all'ansia, con il terrore di non farcela. Di giorno cercavo di agire: ho dato un'accellerata al sito, ho cercato di chiarirmi le idee e un pomeriggio, mentre fissavo la mia agenda vuota della settimana, ho sollevato il telefono per propormi a una grande azienda che sapevo aveva delle mie referenze positive. Con la consapevolezza di poter contare solo sulle mie forze ho pensato che dovevo propormi lasciando da parte le insicurezze, perchè nessuno mai sarebbe venuto a cercarmi per propormi un lavoro su un vassoio.

Dalla telefonata è nato un incontro, una trattativa commerciale che temevo di non saper gestire, e poi un contratto di un anno. Ora ho tanto lavoro e sto cercando di dare il massimo, ho finalmente un sito professionale e sto imparando a considerarmi una professionista, senza paracadute.
 Tutto è capitato così in fretta che non sono riuscita a prendere fiato, so di aver ricevuto un'occasione professionale e non voglio sprecarla; ogni tanto ho timori di vario genere ma cerco di dare il massimo.

I mesi passati a lavorare per il Grande Demente, con i suoi strafalcioni grammaticali e la sua grettezza, sbiadiscono man mano.
Ho incontrato tante persone in gamba in questo periodo, per la maggior parte donne. Dobbiamo imparare a credere in noi stesse, a non farci offuscare dalle insicurezze. La nostra determinazione è sufficiente a far crollare il castello di carte di tanti Grandi Dementi che formano la cultura machista di questo povero Paese e che cercano di tenerci ingabbiate.

Va a finire che devo ringraziare il Grande Demente per il calcio che mi ha assestato? No, questo mai.  Ringrazio di aver avuto la spinta a reagire e a credere in me stessa nonostante lui.  Ringrazio il momento in cui ho visto nel big fail un'occasione in cui buttarmi.
E ringrazio il supporto delle mie reti familiari e amicali, la Rete al Femminile di Torino e le grandi donne che ho conosciuto nel mesi scorsi grazie al Blog Lab e ai vari corsi che ho frequentato.

P.S: Perdonate la scrittura istintiva e sgrammaticata, ma questa storia mi smuove ancora tante emozioni e un livore non indifferente verso quest'uomo.

martedì 20 maggio 2014

Una trilogia irlandese, Edna O'Brien


Mi è successo di nuovo. Mi sono innamorata di un libro, Ragazze di campagna di Edna O'Brien, per rimanerne intrappolata e sentirne poi la sua mancanza in modo assurdo.
Il finale aperto, anzi apertissimo mi ha gettata nel panico, ma ho scoperto subito che aveva un seguito, anzi due.

Così, complice la visita al Salone del Libro, li ho scovati e divorati in due giorni. Dovevo sapere che destino avrebbero avuto le due protagoniste, Caithleen e Baba.
Un finale amaro (non preoccupatevi, questo post non contiene contenuti spoiler) e tante riflessioni sulla vita, sui rapporti uomini e donne, sui condizionamenti della società e della religione (il cattolicesimo più bigotto e opprimente dell'Irlanda anni Cinquanta).

I libri purtroppo hanno titoli da romanzetto Harmony: Ragazze di campagna, La ragazza dagli occhi verdi e Ragazze nella felicità coniugale, ma utilizzano una prosa di grande intensità, senza fronzoli, che mi ha coinvolta al 100%.
Ragazze di campagna, scritto nel 1960, è costato a Edna O'Brien l'ostracismo da parte della società irlandese, e addirittura copie del libro vennero bruciate sui sagrati delle chiese. Edna se ne andò a Londra e continuò a scrivere. Tié.

Con gli occhi di oggi il libro non ha assolutamente nulla di scandaloso; il punto più "controverso" potrebbe essere nel rapporto della giovana Caithleen con un uomo sposato che potrebbe essere suo padre, che nel momento di massima lussuria chiede a Cathleen di spogliarsi per ammirarla senza sfiorarla.
Il vero scandalo sono le idee di libertà e il desiderio di rottura dai rigidi schemi opprimenti del villaggio irlandese, della famiglia, del convento/collegio che descrivere ottuso e bigotto è fargli un complimento, del terrore per l'Inferno che opprime la coscienza di Caithleen ad ogni minima disobbedienza. La famiglia di Caithleen soppravvive nel terrore del padre alcolizzato che scompare per giorni interi; quando ricompare, pieno di alcool fino all'ultimo capello, picchia chiunque gli capita a tiro e si scopre che ha ipotecato la fattoria. Poi c'è la madre martire, che si approccia al talamo coniugale con il rosario in mano e spinge la figlia in convento perchè comunque vada sarà meglio del matrimonio.

Le due protagoniste, Cathleen e Baba, sono agli antipodi: Caithleen è una ragazza romantica, fragile, sognatrice, che viene da una famiglia disastrata e che si innamora sempre di uomini molto più vecchi, ricercando una figura paterna protettiva. Baba è una vera sagoma: esuberante, sfrontata, desiderosa di vita, controcorrente e a volte odiosa.

Amiche fin dall'infanzia, nel villaggio dove tutti alzano un po' troppo il gomito, e unite nell'incubo del collegio dalle suore, studieranno uno stratagemma per farsi espellere dal convento, creando scandalo, e si trasferiranno a Dublino per studiare e lavorare. Sempre in cerca di una festa da ballo in cui mettersi in tiro con gli scarsi mezzi disponibili, di un uomo che offra loro l'illusione di un sogno sotto forma di una cena o un drink, di vivere qualcosa di grande, ma sotto sotto in cerca del grande amore, del cambiamento, del riscatto da una vita di provincia che era una condanna all'ergastolo.

Impareranno con fatica e cocenti delusioni che la libertà dagli schemi a volte si paga a caro prezzo, e che essere donna in una società così chiusa è ancora più difficile. Impareranno che il loro istinto di dipendenza psicologica e materiale dagli uomini non porta la felicità, e che l'emancipazione è prima di tutto interiore.

Sicuramente è una scrittura di una donna che tocca le mie corde. 
In qualche modo mi sono immedesimata nella ricerca di libertà e indipendenza delle ragazze e nell'avversione per il bigottismo cattolico. Anche se la loro situazione è estrema rispetto al mio vissuto, anche io sono cresciuta in un paese di provincia borghese e perbenista che ho odiato con tutto il cuore, sognando ogni giorno di trasferirmi in città. Erano gli anni Ottanta e Novanta nel Nord Italia, ma poco importa se la sensazione che provi è di essere incompresa e impossibilitata a esprimerti.

Ricordo il modo stucchevole di vivere la religione di mia nonna e mia prozia con cui passavo le estati, sempre a raccontarmi delle apparizioni della Madonna e del pericolo dell'inferno, sempre a cercare di irretirmi per recitare rosari, vespri et similia. Sempre a mortificarsi, a condannare la gioia di vivere, le novità. Sono cose che ti rimangono dentro e ti causano un senso di rifiuto per tutta la vita.




giovedì 24 aprile 2014

Un luogo del cuore - itinerario nel Monferrato




Ci sono dei luoghi che sono perfetti e armoniosi nella loro semplicità. 
Uno di questi per me è sicuramente Olivola, borgo del Basso Monferrato. Se siete amanti degli itinerari minori, dei tesori nascosti e dei paesaggi ancora intatti apprezzerete Olivola, e scoprirete nei suoi dintorni almeno due tappe con le stesse attrattive: Moleto e Cella Monte.

Olivola è un piccolo centro con poco più di 100 abitanti, una manciata di case in posizione aperta e molto panoramica, senza brutture architettoniche a deturpare il panorama.
E’ realizzato interamente in tufo, materiale tipico della zona, con una gradevole uniformità cromatica. Il paese si snoda intorno alla piazza principale, dominata dalla chiesa tardo-romanica di San Pietro Apostolo, in mattoni pieni misti a blocchi di calcare locale. Ai margini dell’abitato, su una piccola altura da cui si gode una splendida vista sul Monferrato, sorge la chiesetta di San Pietro, di origine romanica e poi rimaneggiata. Probabilmente il campanile era una torre di avvistamento a cui è stata successivamente addossata la chiesa. 

Una sosta nella piazzetta ai tavolini del caffè vineria “Cà Nostra” (in cui si può anche pranzare) è un piccolo-grande piacere: il panorama, la quiete, la luce, la cura di un centro storico conservato con cura. All’interno del locale c’è un quadretto con la scritta “Olivola non è New York, ma è l’arte di vivere con poesia”, che sintetizza bene lo spirito di questo borgo.

Spostandosi verso Cella Monte, imperdibile una sosta a Moleto, un gruppo di case adagiate su un altipiano con un panorama mozzafiato. Il borgo è molto antico, si dice di origine saracena; le case, tutte nei tradizionali conci di tufo estratti nella cava poco distante,  si affacciano sull’unica strada e si distinguono per l’aspetto estremamente ricercato e signorile. Nei giardini ci sono palme e alberi secolari, a testimonianza della mitezza del clima, e le colline circostanti sono coltivate a vite. Moleto è l’icona classico borgo italiano che affascina i turisti con la sua architettura, la perfezione del paesaggio e l’atmosfera. Con la ristrutturazione di alcune cascine è nato un progetto di turismo congressuale e resort, e durante la nostra visita abbiamo incontrato molte auto straniere. 

La strada conduce all’estremità del paese dove, in un pendio in posizione panoramica e isolata, si trova la chiesetta romanica di San Michele, antecedente l’anno Mille. E' costruita in conci di tufo con facciata a capanna, ed quasi incredibile scoprire che questa non sia la sua collocazione originaria. Infatti venne smontata e ricollocata qui nel 1968 dal sito originario che era minacciato dall’attività estrattiva della cava.
Il prato circostante è perfetto per una pausa relax o per un picnic, anche se spesso un po’ affollato, e ospita il Bar Chiuso, famoso per il calendario di concerti jazz di ottimo livello.


Proseguiamo pochi chilometri fino a Cella Monte, il paese in pietra da cantoni in posizione dominante su una collina. Il centro si caratterizza per i palazzi nobiliari e signorili, tutti recentemente oggetto di ritrutturazioni che valorizzano la struttura delle facciate in pietra. La pietra da cantoni, comunemente nota come tufo, è un’arenaria marnosa-calcarea o silicio-calcarea compatta e facilmente lavorabile, che accomuna l’architettura tradizionale della zona e ne è riconosciuta come il simbolo. 

A Cellamonte ha sede l’Ecomuseo della Pietra da Cantoni, http://www.ecomuseopietracantoni.it, museo diffuso che ha l’obiettivo di recuperare e valorizzare la Pietra da Cantoni e il paesaggio monferrino nelle sue componenti edilizie, agricole e forestali, tra cui i caratteristici infernot, i vani sotterranei scavati nella pietra sotto le case e i cortili, privi di luce e aerazione naturale e adibiti a cantine. Ne sono stati censiti 44 e rappresentano capolavori di architettura contadina, spesso con un certo valore artistico.

giovedì 27 marzo 2014

Leggere non è fare la contabilità


Recentemente mi è capitato sotto il naso un articolo di Internazionale intitolato "Come leggere un libro alla settimana". Lo trovate qui.  

Apprezzabile l'intenzione dell'autore, che descrive (probabilmente a un pubblico di non lettori che non sa neanche da che parte si apra un libro) i vantaggi dell'abitudine di leggere: aumenta le idee, la capacità di capire il mondo ed è addirittura "meglio della TV e perfino di internet" (sì, dice proprio così). L'obiettivo di leggere un libro alla settimana, mediamente 40 pagine al giorno, secondo lui rafforza l'abitudine di portare a termine le cose. 

Non avevo mai pensato al libro in questi termini, come un boccone indigesto da aggredire, un'attività da imporsi. Capisco che se la lettura non è una passione possa essere necessaria una strategia di attacco per farsela piacere, ma a me questo articolo ha fatto venire voglia di dedicare qualche riga alla lettura, il mio primo ed eterno amore, e di contrapporlo a questo approccio quantitativo e pragmatico.

Non quantificherò mai i libri che leggo, so di leggere tanto ma non mi interessa sapere quanti, non credo che sarei una persona migliore e più colta se leggessi con metodo 40 pagine al giorno invece di passare la nottata in bianco quando mi innamoro di un testo, e poi magari passare una settimana senza leggere perchè non ho il libro giusto per il mio stato d'animo. 

Avevo un collega che sottolineava la sua cultura dicendo che l'anno precedente aveva letto 60 libri. Echissene..., pensavo.
 Mi ricorda quei discorsi tipo: "Mick Jagger ha avuto 4000 donne nella sua vita". Sottintendendo che è un figo per questo (che poi se fosse stato un Signor Nessuno quante lo avrebbero considerato?!?). Quando inizi a contare le donne (o i libri), significa che per te solo il numero totale ha un valore, ti aiuta ad attribuirti  importanza e sicurezza.

E poi spiegatemi perchè leggere 52 libri all'anno con una timing precisa settimanale dovrebbe essere meglio di leggerne 10, magari amati, gustati in ogni parola, e interiorizzati. In quest'ottica libri come Guerra e Pace e Anna Karenina dovrebbero finire al macero, perchè la loro mole interferisce con la tabella di marcia settimanale. 
La cultura e l'apertura mentale non si appiccicano addosso con scelte del genere, a mio parere. E' un approccio diverso, non serve una strategia che ottimizzi la produttività.

Io non so quanti libri ho letto, ma so che certi libri mi hanno portata nel loro mondo, ho amato le storie e i personaggi, le parole con cui raccontano, e quando li ho terminati ho sentito un vuoto. Come degli amici cari che all'improvviso partono. 

So che ho un ripiano di libri che aspettano di essere letti e un'agendina con tanti titoli appuntati di libri che vorrei leggere.  Il rito di andare davanti alla mia libreria, o all'indice del kindle, e decidere quale è il libro giusto da iniziare è un piacere che si rinnova ogni volta, un colpo di fulmine. Lo metto sul comodino e penso "staremo bene insieme", non "Una settimana e ti faccio fuori".

E se al primo capitolo c'è qualcosa che non mi spinge a continuare, senza rimorsi chiudo il libro e lo rimetto nello scaffale, in attesa di tempi migliori.

Da quando avevo 5 anni e sillabavo le storie di Barbapapà, leggere è la cosa migliore che ho imparato.

E voi cosa ne pensate? Come vivete la lettura?

martedì 11 marzo 2014

I giardini di marzo

Domenica sorsa siamo stati nelle colline del Monferrato a visitare un circuito di poderi, cantine vinicole e giardini privati aperti al pubblico per la giornata "I giardini di marzo" organizzata da www.castelliaperti.it.

Questa volta ho deciso di lasciare da parte le parole e le descrizioni (lo so, a volte mi dilungo un po' troppo...) e far parlare le immagini, perchè certi paesaggi meritano di essere protagonisti. 
Le foto sono scattate da P. che con l'obiettivo ha più confidenza di me.

L'itinerario dettagliato è disponibile sul portale Astigiando.it:
http://www.astigiando.it/place/moncalvo-grazzano-badoglio-marchesato-del-monferrato/


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La Tenuta Santa Caterina a Grazzano Badoglio.






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Un simpatico cucciolone
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Il palazzo del Gattopardo io lo immagino così
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Cantina scavata nel tufo, il tipico "infernot"
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La cantina della tenuta Santa Caterina

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Panorama da un terrazzo
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Colline a perdita d'occhio
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Le brume del tramonto

sabato 8 marzo 2014

#Talktoyourdaughter: l’e-book

Ricordate l'iniziativa #Talktoyourdaughter lanciata dal blog La Casa nella Prateria, a cui avevo partecipato con il mio post su Jane Goodall?

#Talktoyourdaughter ha un obiettivo molto reale e attuale: "Parliamo alle nostre figlie prima che lo facciano le aziende". In altre parole, trasmettiamo alle bambine e alle adolescenti un canone di bellezza e di successo femminile che rispecchi i nostri valori (soprattutto interiori) e non lasciamo che siano le aziende, con i loro fini di marketing e di trasmissione di modelli puramente consumistici, a plasmare l'immaginario delle donne di domani e a creare in loro sensi di inadeguatezza, modelli irraggiungibili, focus sull'apparire e sull'esteriorità.

All'invito hanno risposto molte blogger che hanno raccontato una donna che ammirano, che vorrebbero essere, a cui si ispirano.
Gli interventi sono stati raccolti dall'instancabile Claudia Porta della Casa nella Prateria in un e-book, che potrete scaricare gratuitamente a questo link e condividere. E' un collage di tante donne diverse, donne comuni e famose, di oggi e di ieri. 
Tante donne che hanno voluto dire la loro in un dibattito sull'aspetto femminile e sulle aspettative che la società e i modelli imposti generano. Aspettative con cui tutte ci siamo dovute confrontare, e che magari ci hanno fatto sentire inadeguate, hanno richiesto coraggio per non adeguarci passivamente e per affermare la nostra individualità. Modelli che tante assecondano inconsapevolmente, convinte che l'unico modo per essere donna sia puntare sulla sensualità, sulla compiacenza, sul richiamo alla donna oggetto.

Sono contenta che l'ebook #talktoyourdaughter sia uscito proprio oggi, l'8 marzo, così posso dare un contributo personale (ancora più importante perchè nato dalla creatività di una rete di donne) in questa ricorrenza, che a mio parere è diventata un altro fenomeno di massa consumistico svuotato dal suo significato.  

Non voglio mimose nè auguri ma vorrei rispetto per tutte noi gli altri 364 giorni dell'anno. 
Rispetto sul lavoro, rispetto per chi decide di avere un figlio, rispetto in famiglia e nella coppia, fine di quegli atteggiamenti maschilistici latenti che percepiamo ovunque.
Vorrei che arrivassimo a non avere più necessità di un giorno per "festeggiarci" e per portare l'attenzione del mondo sui nostri problemi e sulle conquiste sociali che ancora siamo lontane dal raggiungere. 
Auguri a tutti, uomini e donne, per un cambio di mentalità.






mercoledì 26 febbraio 2014

L'importante è partire


Potrei tatuarmelo sul cuore.

Appena c'è una giornata di sole non lavorativa io e P. partiamo per qualsiasi destinazione fuori città, improvvisata o programmata.  Torino è una città privilegiata (o almeno mi piace crederlo!) perchè già a mezz'ora di macchina si possono trovare paesaggi di montagna, colline, boschi, decine di castelli e centri storici interessanti.
Noi ci facciamo entusiasmare da tutto: passeggiate, trekking, picnic, visite artistiche e culturali, pranzi in osteria, fiere, visite a paesini meno conosciuti, per cui ho un'autentica passione. Siamo di quelli a cui basta mettersi in macchina e partire per stare subito bene.
Ho sempre desiderato poter fare una piccola raccolta dei nostri itinerari, spesso le persone mi chiedono dove possono andare la domenica e mi rendo conto che anche gli autoctoni ignorano tanti luoghi interessanti vicino alla città. 

Mi piace scrivere, mangiare&bere, visitare posti nuovi e stare nella natura: durante il corso Talent Factory (di cui parlo qui)  questi miei interessi sono emersi come talenti da valorizzare e ho trovato l'entusiasmo per provare a concretizzarli. Mi sono fatta avanti con una compagna di corso che ha creato www.astigiando.it, un portale di turismo in Langhe, Monferrato e Roero (le bellissime colline piemontesi del vino ) e le ho proposto di contribuire con una serie di itinerari.

Chiara mi ha dato subito fiducia (la forza delle donne quando fanno rete!) e sono fiera di presentarvi il mio primo itinerario che potrete leggere qui:


E' un percorso di un giorno nelle mie adorate Langhe, un luogo che scalda il cuore. Se andate al link pare che ci sia anche una rarissima immagine della mia chioma al vento. ;-)


mercoledì 19 febbraio 2014

Idoli e derive adolescenziali tardive



Ieri sera si è verificata una congiuntura astrale più unica che rara: io e Dave Gahan ci siamo ritrovati a circa 10 metri di distanza, lui sul palco e io confusa tra il pubblico. Una situazione irripetibile per la mia modesta esperienza di fan, in cui il mio idolo da 25 anni ha per un attimo avvicinato la sua orbita alla mia, ovviamente inconsapevole dell'evento. Per un momento ho pensato "Ecco, ora mi sento felice, potrebbe finire il mondo in questo momento e sarei appagata".

Per la cronaca, ero al concerto dei Depeche Mode a Torino, evento che aspettavo da mesi; il quinto concerto in otto anni di questa band che è stata il mio mito dell'età di 12 anni. Erano gli anni Ottanta, io ero una ragazzina di provincia che consumava i 33 giri a forza di ascoltarli e imparava l'inglese con i testi dei Depeche. Sono passati anni prima che io abbia potuto avere i soldi e l'indipendenza per andare ai loro concerti, per accaparrarmi i biglietti a caro prezzo con mesi di anticipo.
Nel frattempo Dave diventava una rockstar, andava in overdose, si salvava miracolosamente e in rehab incontrava la sua futura moglie, l'infermiera.  Per rimanere sulla cresta dell'onda, 50enne un po' più saggio e misurato ma sempre sexy e con l'aria vissuta, un vero animale da palcoscenico.

Questa mattina, insieme a un manipolo di fans più vicini ai 40-50anni che ai 20, mi sono ritrovata davanti all'hotel dove hanno soggiornato i Depeche per vederli uscire. Ebbene sì, l'ho fatto.
Confesso di avere un po' di vergogna a raccontarlo qui, sembrano scene pù adatte a una 15 enne che a una che presto entrerà negli Anta, però posso dire che c'erano madri di famiglia con i bebè nel marsupio, liberi professionisti indiavolati, insegnanti di liceo e tanti altri personaggi curiosi e insospettabili. 

Osservando i miei compagni di picchetto e parlando con loro (siamo stati 4 ore in piedi e avevamo quel feeling immediato che accomuna chi condivide la stessa fede) ho visto l'atteggiamento un po' ossessivo e monomaniacale dei fans consumati, la tenacia e la pazienza nell'informarsi, attendere, perseverare, idealizzare propri idoli. 
Siamo tutti impazziti? Forse sì, nel mio caso sento che la faccenda mi riaccende un filo diretto con l'adolescenza, con quell'impulsività, entusiasmo e irrazionalità che mi accompagnavano all'epoca e che mi avevano fatto eleggere i Depeche come idoli assoluti. Quella sensazione e quell'atmosfera mi arrivano come un'eco dolce e lontana quando ascolto i vecchi album, insieme alla nostalgia  dell'essere giovane e sognatrice.

Un ragazzo raccontava che al concerto di ieri sera (il suo 20esimo concerto!) si è emozionato di meno e questo lo ha intristito perchè ha capito che l'ultimo legame con la sua gioventù si sta staccando, sta perdendo la capacità di entusiasmarsi come allora; in più vede i Depeche meno energici, qualche ruga di troppo sul viso di Dave, e capisce che i suoi miti stanno invecchiando, che sia loro che noi siamo più vecchi di trent'anni.

Alla fine il punto è questo: sono passati tre decenni per tutti e siamo tutti qui, con le zampe di gallina, la pancetta e i capelli grigi, o tinti, a ricordarcelo a vicenda. Anche se ascoltando quella musica ci sentiamo gli stessi di sempre.

Chissà se Dave e compagni, andando via da un'uscita secondaria dell'hotel in un'auto con i vetri oscurati e lasciandoci con un palmo di naso, non abbiano avuto la stessa malinconia riconoscendo nei loro fans, tranquilli uomini e donne che hanno atteso educatamente per ore,  quei ragazzini con il chiodo e il ciuffo che negli anni Ottanta si piazzavano davanti ai cancelli dello stadio 12 ore prima del concerto. E se non hanno pensato che senza di noi a farli sentire ancora delle star loro sarebbero dei tranquilli signori benestanti di mezza età.



venerdì 31 gennaio 2014

Granita di neve


Ieri è arrivata la prima nevicata quasi seria qui in città. Mi piace quando guardo in alto e mi sento avvolgere dal turbinio di fiocchi fitti fitti. E mentre camminavo senza ombrello e i fiocchi volevano ricoprire anche me mi è comparso un flash, IL mio ricordo legato alla neve.

Facevo terza elementare e c'era stata una di quelle nevicate che ci aveva costretti a non andare a scuola. Dopo pranzo avevo avuto il permesso di mettere i doposci e andare a giocare in cortile, a patto di non bagnarmi, non prendere freddo, non...non...non. La neve mi arrivava quasi alle ginocchia e dopo una sequenza instancabile di palle di neve, pupazzi di neve e tunnel nella neve mia madre mi venne a ripescare sudata marcia, con la neve nella schiena, piedi e pantaloni fradici e unghie livide. Nella foga del gioco non me ne ero neanche resa conto, anche se ero tutta tremolante; mi mise vicino al termosifone e mi riscaldava con il phon, mentre mi faceva una lavata di capo colossale, prevedendo influenze e malanni di ogni tipo. Io, che ero una bambina molto sensibile e volevo sempre essere perfettina, mi misi a singhiozzare inconsolabile.
Forse mia madre si pentì di aver rovinato quel pomeriggio di giochi speciali, perchè mi fece ritornare il sorriso con una merenda fuori dal comune, la granita di neve!  Un bel bicchiere di neve mescolata con succo di limone misto a zucchero. Mi sembrava una cosa incredibile: in cortile avevo assaggiato la neve, con quel sapore che sembra anonimo e invece è inconfondibilmente...neve, ma mangiarla  come un dessert con la complicità di mia madre mi sembrava una cosa controcorrente, uno strappo alla nostra tranquilla normalità fatta di abitudini e regole.

Erano gli anni Ottanta e non si parlava ancora di polveri sottili e PM 10, così io e gli altri disperati che erano stati con me a correre e a congelarsi gustammo la merenda più speciale.




mercoledì 29 gennaio 2014

L'Ikea e l'invecchiamento



Ieri ho fatto la conoscenza con una nuova me, all'Ikea, e devo dire che è stato un pomeriggio di rivelazioni.

Tra le corsie del paradiso del mobile da montare ho capito che il traguardo degli Anta, a cui mi manca ancora un anno e mezzo, si avvicina insidioso e a mi allontana piano piano da quella incoscienza e spensieratezza giovanile per trasformarmi in una dinamica  e saggia quarantenne.  Ho preso atto che sarò quarantenne nella testa, oltre che nel fisico. E scusate se è poco.

Ma vediamo cosa è successo.
Da un po' di tempo mi sono accorta di aver sviluppato un'idiosincrasia a centri commerciali e luoghi affollati in genere, ai neon e alla gente che mi urta e che vorrei affettare con le lame rotanti.
Dovevo comprare delle stoffe all'IKEA e i'idea di trovarmi incolonnata tra stuoli di famigliole con passeggini che procedono a passo di lumaca mi faceva rabbrividire. Rimandavo da settimane e alla fine, saggiamente, ci sono andata il martedì alle 14.00, uno dei momenti più morti della settimana.  

Per risparmiare tempo ho saltato il giro al piano superiore, nell'esposizione degli ambienti arredati che una volta non mi perdevo mai (e grazie alla quale ho arredato casa), e mi sono diretta rapidamente al reparto tessili. Non mi sono fatta distrarre dal reparto cucina e non ho comprato nessuna di quelle cazzatelle di cui solitamente mi riempivo il carrello: accessori inutili per la cucina destinati a restare nei cassetti, bicchieri fragilissimi a 50 centesimi, cuscini dai colori sgargianti, scatole, scatolette e candele, quelle maledette candele che non uso mai.  Riflettevo che non ho più voglia di riempirmi la casa di oggetti inutili, che voglio iniziare un periodo di decluttering.
L'unica concessione che mi sono fatta è stato un vaso di bulbi di narciso (adoro i bulbi perchè sbocciano anche se non ho il pollice verde) e due kit per coltivare in un vaso erbe aromatiche e fiori di campo. Evidentemente invecchiando si acquista una passione per il giardinaggio.

Al bar ho preso una spremuta d'arancia al posto di quei dolcetti ricoperti di glassa che una volta mi piacevano tanto, perchè guardandoli ho immaginato che fossero pieni di grassi idrogenati, olio di palma e conservanti. Sulla stessa scia ho saltato del tutto la visita al negozio di cibi scandinavi; lo scandalo delle polpette con la carne di cavalli dopati deve aver lasciato un segno forte dentro di me, perchè nè le patatine al pepe nè le marmellate di bacche artiche mi hanno tentata minimamente.

Con il mio bottino di stoffe e vegetali un'ora dopo mi sono avviata a casa, realizzando che domenica scorsa, da Eataly, mi è capitata la stessa cosa. Mi aggiravo tra gli scaffali scoprendo ogni sorta di specialità da gourmand e prodotti ricercati, ma poi riflettevo sul rapporto qualtà/prezzo  e sentivo che 6 euro per un sugo sono decisamente troppi, 3 euro per mezzo chilo di pasta trafilata al bronzo anche e 8 euro per una confezione di thè peggio ancora. Mentre osservavo le orde di gente che si aggiravano mi scoprivo a fare elucubrazioni sulla valorizzazione dei prodotti di nicchia come fenomeno di massa e altre amenità. Sono uscita con il cestino pieno solo di prodotti in offerta e con il necessario per la cena, nessuna concessione alla golosità o all'acquisto di impulso.

Ora mi chiedo con un misto di curiosità e di apprensione: sto vivendo un periodo di transizione o d'ora in poi sarò sempre così assennata? Sto diventando una donnina matura e capace di gestire la spesa e il bilancio? Perderò quei tratti un po' naïf  della mia personalità?  Assomiglierò a quelle amiche che facevano sempre la cosa giusta e che io consideravo "vecchie dentro"?

Qualsiasi cosa succeda, spero di continuare a stare bene in mia compagnia, e che nessuno mi definisca mai una "splendida quarantenne". Non lo sopporterei.



domenica 26 gennaio 2014

Le storie nella Storia, un libro per ricordare



Domani è il Giorno della Memoria e credo sia giusto contribuire a mantenere vivo il ricordo di ciò che è stata la Shoah, anche se a volte istintivamente si preferirebbe rimuovere certi orrori. E' difficile parlare di questi temi senza essere retorica o usare frasi fatte; ci proverò.

Sono sempre stata una lettrice appassionata e tra i miei temi ricorrenti ci sono storie e biografie di persone che hanno vissuto la discriminazione razziale e l'Olocausto.  E' un argomento che istintivamente mi ha sempre trovata empatica. Forse non posso accettare completamente quello di cui è capace la malvagità umana, o forse dopo tutto è consolatorio vedere che, osservando la storia settant'anni dopo, la vita è stata più forte del male. Un male che fa ancora paura perchè è nato nell'uomo ed è diventato un'ideologia.


Lasciando scorrere questi pensieri mi sono ricordata di un libro delicato e forte allo stesso tempo che ho letto la scorsa estate, e che parla della vita quotidiana di una comunità un po' strampalata di sopravvissuti all'internamento che vive in un quariere popolare di Tel Aviv.  Si intitola "Giornate Tranquille" di Lizzie Doron, editrice La Giuntina. E' stata una lettura tutta di un fiato, una di quelle che quando arrivi alla fine senti un angolino di vuoto e di nostalgia, come se avessi detto addio a degli amici.

Ogni anno al Salone del Libro visito lo stand della Giuntina, casa editrice dedicata alla storia e cultura ebraica, e mi faccio consigliare qualche romanzo, che non mi delude mai. Da sola non avrei mai scelto  "Giornate tranquille" per via della copertina che trovo un po' kitsch; e per fortuna che a volte si chiede ai librai invece di basarsi sull'impatto della copertina!

Giornate tranquille ruota intorno ad un salone di parrucchiere e manicure in cui si incontra la quotidianità di un'umanità sofferente che si è lasciata faticosamente alle spalle l'Europa e gli orrori dei campi di concentramento. Nessuno parla mai di cosa ha vissuto ma lo si deduce da brevi accenni. E' probabile che nessuno abbia le parole per descrivere ciò che ha provato, ma il loro vissuto trapela da tanti gesti e abitudini: c'è il parrucchiere che tenta invano di cancellare il numero blu tatuato sul braccio ad Auschwitz, la donna che non sopporta la manicure perchè i nazisti le avevano strappato le unghie, quella che spera solo di morire per ritrovare il suo cavallo, ucciso dai tedeschi quando era bambina, quella che si aggira per le strade allucinata raccontando qualche orribile verità al suo cane Rexy. 

La protagonista è Lea, a cui il nazismo ha tolto l'identità e che vive con un senso di eterno smarrimento. Gli unici ricordi che ha della sua infanzia sono di avere vissuto per anni in una buca del terreno da cui una donna, probabilmente polacca, la faceva uscire ogni notte per rifocillarla e in cambio farle pulire l'aia. Si deduce che i genitori la avessero nascosta presso questa donna per salvarla dalla deportazione. A fine guerra sarà portata in Israele da un funzionario che rintracciava gli orfani ebrei e vivrà in un kibbuz, sempre sentendosi estranea e incapace di provare sentimenti. Sposerà un marito più vecchio e avrà un figlio, sentendosi finalmente di appartenere a qualcuno, ma presto rimarrà vedova. Sarà Zaytshik, il parrucchiere legato al marito da un rapporto fraterno nato ad Auschwitz, a prenderla per mano e a creare per lei il lavoro di manicure nel suo negozio.  Gli anni passano veoci nella quodianità del negozio e in Lea nasce un amore profondo e segreto per Zaytshik, tanto che la sua morte la precipita in un abisso di disperazione, da cui solo la condivisione del dolore con le sue affezionate clienti potrà salvarla.

Se non avete già abbandonato la lettura di queste righe impregnate di tanta tristezza e cupezza, starete pensando che non leggerete mai questo libro.  Vorrei farvi cambiare idea perchè la sua magia, che temo di non essere capace a trasmettere, è nella delicatezza con cui tutto è descritto, e nella dignità dolorosa con cui procede la vita di queste persone. La vita e la ricerca della serenità sembrano prevalere sempre, ma la mancanza di un'identità e delle radici, che i nazisti hanno tolto a Lea, può far sentire le persone vive solo a metà

lunedì 20 gennaio 2014

Ritratto di signora (la donna che vorrei essere)


Sul blog La casa nella prateria, che seguo sempre con interesse, è partita un'iniziativa interessante spiegata in questo post

"Parliamo alle nostre figlie...prima che lo facciano le aziende" è un progetto per sensibilizzare le bimbe e le adolescenti di oggi, che crescono bombardate da un'immagine femminile irraggiungibile perchè innaturale, sul concetto della bellezza autentica che è in ogni donna.
Preciso che non ho figlie ma l'argomento mi sta a cuore; ho lavorato tanti anni in un ufficio stampa di moda, sfogliavo riviste italiane e straniere tutti i giorni e l'immagine delle modelle e delle donne algide e finte delle pubblicità mi è venuta a nausea.  L'abuso di Photoshop per ritoccare le immagini di personaggi già belli e fotogenici è sotto gli occhi di tutti, a volte raggiunge risultati grotteschi...ma le bambine che crescono con tali modelli proposti dalle aziende di moda e bellezza e dallo showbusiness cresceranno sentensosi inadeguate. 
Da qui l'invito di Claudia Porta a raccontare modelli di donne a cui vorremmo somigliare, le cui qualità vadano oltre la bellezza patinata, spiegando perchè le ammiriamo. Se non ci mobilitiamo noi, non possiamo aspettarci che lo facciano le aziende impegnate a proporre prodotti aspirazionali, nella logica del "vorrei ma non posso" e quindi "aspirerò tutta la vita con frustrazione ad essere la donna che non sono".


Io il mio modello di donna l'ho trovato senza pensarci un minuto. Vi racconterò di Jane Goodall, l'etologa e antropologa britannica che ha passato la sua vita a studiare il comportamento sociale degli scimpanzè, a denunciare la distruzione del loro habitat, la foresta equatoriali e a rivelarci l'articolata vita sociale degli scimpanzé. Il suo impegno di denuncia sensibilizza da anni l'opinione pubblica internazionale sul tema del rispetto ambientale e delle diverse culture, del bracconaggio e dei rischi dell'assenza di un'etica ambientale matura. E' diventata un simbolo della difesa delle biodiversità; sul sito dell'organizzazione da lei fondata per portare avanti le sue battaglie potrete approfondire.

Per me è un modello perchè da sempre amo gli animali, la natura  e le diversità culturali; da bambina volevo fare la veterinaria e da studentessa avrei voluto studiare antropologia, ma mi è mancato il coraggio di un professione con scarsi sblocchi. Scoprire la complessità dei comportamenti animali e la loro sensibilità mi affascina, e credo che vadano protetti dalla crudeltà e dall'avidità umana.  Ogni volta che leggo di bracconaggio o di foreste distrutte sto male e vorrei gridare che non ci rendiamo conto di andare verso l'autodistruzione.

Mi piacerebbe invitare una bimba a scoprire la bellezza inusuale di Jane Goodall: una donna può essere bella, elegante e di classe anche abbracciata a uno scimpanzè nella foresta, vestita con semplicità e senza trucco.E lei, ancora oggi che ha 80 anni, è una donna bella e con un sorriso sereno. Inoltre ci vuole molto coraggio per stare nella foresta e opporsi ai poteri forti, agli interessi economici delle persone senza scrupoli.

Per condividere le emozioni che la sua figura mi dà, vi lascio con questo video della scimpanzè Wounda che, prima di tornare nella foresta dopo essere stata curata, abbraccia Jane Goodall. Attenzione perchè è molto commovente!


martedì 7 gennaio 2014

You can't always get what you want



Nello specifico volevamo goderci una vacanzina in Lunigiana e Golfo dei Poeti dopo Capodanno.  Il Cowboy (il mio fidanzato, non chiedetemi perchè è soprannominato così perchè ormai le origini del nome sono avvolte nella leggenda) e io avevamo prenotato il bed and breakfast, preparato una lista di luoghi che volevamo vedere e guardato le previsioni del tempo. Dal momento in cui in autostrada il cartello ci ha segnalato che stavamo lasciando il Piemonte per entrare in Liguria la pioggia non ci ha più abbandonato.
Dopo 3 giorni di itinerari cambiati lì per lì per evitare di lavarci dalla testa ai piedi e di notti scandite dal rumore degli scrosci della pioggia sul tetto della camera ci siamo arresi e siamo tornati a casa. Intanto i fiumi erano gonfi da far paura, la Protezione Civile stava valutando di chiudere i ponti sul fiume Magra ed era stato dichiarato lo stato di allerta massimo.
Siamo così tornati a casa con 2 giorni di anticipo, accolti in Piemonte da un panorama stupendo con tutto l'arco alpino innevato che si faceva ammirare a 100 chilometri di distanza. E pensare che la Lunigiana non si è lasciata vedere nemmeno per un attimo, avvolta costantemente nelle nebbie.

A parte sconsigliare a tutti di fidarsi delle previsioni a 24 ore di www.meteo.it, il sito a cui mi sono affidata tutta trulla e che mi rassicurava sul tempo nei giorni a venire, vorrei fare una piccola riflessione. Alcune persone mi hanno suggerito di cercare il lato positivo della faccenda, perchè c'è sempre un insegnamento e un aspetto positivo da considerare.

Personalmente non ci vedo un questione  filosofica nè un arcano da scoprire: le cose possono andare bene o male e stavolta è andata male, siamo stati dispiaciuti ma senza farne tragedie, ovviamente avremmo preferito non buttare i soldi in un'alluvione ma ci sono cose peggiori, non mi sento di appellarmi alla sfortuna cosmica nè di trovare insegnamenti sui massimi sistemi.  Non si può sempre avere quello che si vorrebbe, a volte le cose vanno male, la sfortuna ci accompagna dal momento prima di uscire di casa a quando mettiamo le chiavi nella toppa al ritorno.  In questo caso il valore economico della vacanza rovinata pesa sul nostro bilancio e ci impedirà di fare un altro weekend fuori per qualche mese, ma comunque bisogna imparare a dare il giusto valore alle cose e relativizzare il danno.

Mi sono comunque portata a casa qualche ricordo piacevole: la gatta Flora del bed and breakfast con una macchia a forma di cuoricino sul naso, l'accoglienza dei proprietari del b&b Il Ciliegiolo, la farinata e i panzerotti sopraffini e il borgo di Montemarcello, un vero gioiello architettonico che si affaccia sul Golfo dei Poeti, uno di quei luoghi in cui se vincessi alla lotteria comprerei subito una casa.
Il borgo di Tellaro

La gatta Flora