Facevo terza elementare e c'era stata una di quelle nevicate che ci aveva costretti a non andare a scuola. Dopo pranzo avevo avuto il permesso di mettere i doposci e andare a giocare in cortile, a patto di non bagnarmi, non prendere freddo, non...non...non. La neve mi arrivava quasi alle ginocchia e dopo una sequenza instancabile di palle di neve, pupazzi di neve e tunnel nella neve mia madre mi venne a ripescare sudata marcia, con la neve nella schiena, piedi e pantaloni fradici e unghie livide. Nella foga del gioco non me ne ero neanche resa conto, anche se ero tutta tremolante; mi mise vicino al termosifone e mi riscaldava con il phon, mentre mi faceva una lavata di capo colossale, prevedendo influenze e malanni di ogni tipo. Io, che ero una bambina molto sensibile e volevo sempre essere perfettina, mi misi a singhiozzare inconsolabile.
Forse mia madre si pentì di aver rovinato quel pomeriggio di giochi speciali, perchè mi fece ritornare il sorriso con una merenda fuori dal comune, la granita di neve! Un bel bicchiere di neve mescolata con succo di limone misto a zucchero. Mi sembrava una cosa incredibile: in cortile avevo assaggiato la neve, con quel sapore che sembra anonimo e invece è inconfondibilmente...neve, ma mangiarla come un dessert con la complicità di mia madre mi sembrava una cosa controcorrente, uno strappo alla nostra tranquilla normalità fatta di abitudini e regole.
Erano gli anni Ottanta e non si parlava ancora di polveri sottili e PM 10, così io e gli altri disperati che erano stati con me a correre e a congelarsi gustammo la merenda più speciale.
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